L’indagine archeologica. Un passato nascosto

La storia della chiesa dei Ss. Nazaro e Celso e del sito su cui sorge risale a molto lontano. Tra il 2007 e il 2009 la Fondazione Dominato Leonense e Cassa Padana hanno condotto due campagne di scavo, coordinate dalla Soprintendenza per i Beni Archeologi della Lombardia, che hanno portato alla luce i resti di una grande villa romana rustica, di età compresa fra I sec. d.C. e il IV sec. d.C. Già nel 1984 le numerose ricognizioni di superficie effettuate dal Gruppo Storico Archeologico di Manerbio avevano documentato la presenza di tessere di mosaico, frammenti di ceramica e monete riconducibili all’epoca romana.

OLYMPUS DIGITAL CAMERALo scavo ha rivelato la presenza di due fasi di vita della villa, della prima è rimasto ben poco, ovvero un muro di notevoli dimensioni che si ritiene dovesse fungere da delimitazione rispetto ad un’area con caratteristiche o destinazioni diverse e una struttura articolata intorno ad un foro centrale, identificata a vario titolo come probabile testimonianza delle attività artigianali che venivano svolte nell’azienda. Della seconda fase. invece, sono visibili tre ambienti di dimensioni diverse, mentre ad est del muro che delimita uno di essi, privo di aperture, sono state riconosciute le tracce di alcuni pilastri, che hanno fatto pensare alla presenza di un porticato.

Due dei tre ambienti hanno restituito tracce di pavimentazioni, delle quali la più significativa è senza dubbio quella composta da tavelloni di cotto conservatisi per una porzione discretamente ampia nell’angolo sud-ovest dell’area. Le caratteristiche di quest’ultima, così come il cocciopesto presente nell’ambiente contiguo, lasciano pensare che gli spazi indagati fossero per lo più destinati allo svolgimento delle attività artigianali.

Il sito è stato frequentato anche durante i difficili anni di transizione tra l’Età Romana e l’Alto-medioevo; sono emerse testimonianze che lasciano infatti pensare alla costruzione di alcune capanne in legno immediatamente al di sopra di strati di macerie dovuti ad un periodo di breve abbandono della villa.
La presenza di alcune buche, sparse su tutta la superficie, che erano servite per l’alloggiamento dei pali di legno, e di due focolari, dei quali uno ben strutturato e l’altro con una sottile preparazione in ciottoletti, lasciano presupporre che i tre ambienti siano stati defunzionalizzati e frammentati per poterne ricavare spazi più piccoli.

Risale al V sec. la costruzione di una prima chiesa, di dimensioni poco inferiori a quella attuale e con il medesimo OLYMPUS DIGITAL CAMERAorientamento est/ovest. Di diverso orientamento rispetto agli ambienti della villa rustica chiunque avesse costruito tale struttura ne aveva intenzionalmente deciso l’orientamento. Di pertinenza all’edificio sono state rinvenute due piccole strutture interpretabili come arredi liturgici fissi, una fondazione appena visibile lungo il lato est a forma semicircolare (catino absidale) e una sepoltura alla cappuccina in cassa di laterizi, posta all’esterno, lungo il muro perimetrale ovest.

Anche se potrebbe apparire strano, la fase successiva alla costruzione della prima chiesa – tra il VII e VIII sec. – è costituita dall’edificazione di altre abitazioni. Ad un certo punto è possibile che ne sia venuta meno la memoria e che al di sopra di essa siano stati costruiti altri due edifici. Sono stati riconosciuti due edifici, entrambi con fondazione in muratura e alzati presumibilmente in legno, legati stratigraficamente a numerose buche per il sostegno dei pali che costituivano il completamento degli ambienti stessi. Essi hanno sicuramente cronologie diverse dal momento che uno si sovrappone all’altro.

chiesa scaviIn seguito a questa fase di capanne troviamo la costruzione di una nuova chiesa, la seconda in ordine cronologico, della quale è stato portato alla luce il muro dell’abside. L’edificio presentava le stesse dimensioni laterali e la stessa lunghezza della chiesa attuale, eretta solo pochi decenni più tardi nell’XI sec. Del cantiere per la costruzione della chiesa sono state documentate quattro vasche per la lavorazione della calce viva, probabilmente utilizzata per la realizzazione del pavimento; infatti, lacerti in malta di calce, ben livellati e rasati, affiorano in modo disomogeneo su tutta l’area occupata dalla seconda chiesa.

Della struttura della chiesa nel suo complesso non restano, purtroppo, altre evidenze da annotare, tranne la presenza di un piccolo altare laterale in muratura, visibile lungo il tratto di muro che si diparte dell’emiciclo absidale verso nord. Esso, costruito contemporaneamente all’edificio, è da annoverare fra gli arredi liturgici fissi che completavano l’allestimento delle chiese del periodo.

La terza chiesa, l’attuale, databile tra la fine dell’altomedioevo e l’inizio dell’età romanica, presenta sull’esterno buona parte della muratura originale (caratterizzata dalla disposizione a spina-pesce) seppur con i segni di innumerevoli trasformazioni successive. I particolari più evidenti sono: il portale tardo cinquecentesco di gradevole impianto, le specchiature decorative lungo tutto il perimetro e, infine, lungo il lato sud, una monofora tamponata di piccole dimensioni.

L’interno si presenta ad aula unica con due gradini di accesso alla zona presbiteriale sopraelevata, a creare una divisione fra lo spazio occupato dai fedeli e quello preposto al clero officiante. I muri perimetrali sono mossi da lesene aggiunte in tempi moderni. Dell’abitazione del curato, una struttura contigua alla chiesa e ormai completamente crollata, rimane la fondazione. Essa è stata costruita, infatti, in mattoni e ciottoli posti di piatto, di taglio e a spina-pesce, come la parte più antica della muratura dell’edificio sacro.

Della storia dell’attuale chiesa le notizie che ci sono pervenute nel corso dei secoli sono poche e affresco-ritaglioframmentarie.
Nel documento XXIX del 1194 riportato dallo storico Francesco Zaccaria nel volume “Dell’antichissima Badia di Leno” sono elencate tutte le chiese che a quel tempo appartenevano alla Badia e tra queste viene nominata la chiesa di S. Nazzaro (abbatem leonensem… tenere ecclesiam sancti Nazarii). Anche lo storico Bernardino Faino nel libro “Coelum Sanctae Briscianae Ecclesiae” edito a Brescia nel 1658, nomina la chiesa tra quelle che da secoli appartenevano alla Badia di Leno. Altre notizie si possono desumere dagli Atti delle visite pastorali conservati presso l’archivio vescovile di Brescia e in alcune relazioni parrocchiali.

Quando nel 1580 S. Carlo Borromeo visitò la chiesa annotò “Nella chiesa di S. Nazaro vi è un solo altare, vi è annessa una casa e un pezzo di terra. Di tanto in tanto si celebra la messa“.

L’oratorio continua la sua attività anche nei sec. XVII e XVIII grazie alla presenza di eremiti: i documentai pastorali evidenziano la rilevanza della struttura come luogo di culto, di ritrovo e di aiuto degli ammalati. Per capire la reale importanza della cappella è sufficiente pensare che, spesse volte, era beneficiaria di lasciti.

Fra questi il più cospicuo fu fatto dal signor Alboino Albini che nel 1654 lasciò in eredità alla chiesetta del denaro che sarebbe servito “per celebrare della messa festiva a comodo degli abitanti della contrada”. Nel 1663 viene controllata nuovamente dal Vescovo Giovanni Zorzi, il quale prescrive ai parroci “di fare una nuova icona con l’immagine del Santo”.
Nel 1800 la chiesetta campestre si presentava così: “lunghezza 15 m, larga 8,70 m, alta a monte e a mezzodì 5,60 m, alla colma 6,60m; col pavimento in cotto. L’apertura di ingresso a sera con sopra una finestra rotonda del diametro di 80 cm, la torre è alta 9,60 m, e larga 1,10 m appoggiata alla chiesa con una campanella di bronzo di pesi ”.

Sempre appartenuta alla municipalità e messa a disposizione dei fedeli, nel 1880 durante il consiglio comunicale del 28 settembre viene deliberata la vendita della cappella in via assoluta con l’attigua casa del custode e l’orto.
Nel 1887 venivano eseguiti alcuni restauri all’edificio e il parroco don Luigi Olivares si recava a benedire la chiesa quale delegato dal vescovo. Venne successivamente conservata perfettamente dalla famiglia Gatti fino agli anni sessanta.

Oggi è di proprietà della Fondazione Dominato Leonense di Leno.

 

Estratto da “La memoria della fede” Studi storici offerti a S.S. Benedetto XVI nel centenario della rivista “Brixia Sacra“,
anno 2009 (di Anna Denise Morandi)

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